Monumenti
Particolari
Gente
Itinerari
Archivi
Monumenti
Sezione
MONUMENTI

Nel giugno del 1916 un battaglione dell’Ottavo reggimento alpini, già valorosamente impegnato sulle alture del Coglians (Alpi Carniche), venne inviato al fronte per riconquistare il Monte Cellon. Tra le fila del reparto erano inquadrati anche quattro giovani carnici.
Per questi Alpini non vi era odio nei confronti di quei soldati austriaci d'oltre confine che fino a qualche tempo prima erano stati loro amici, vicini, colleghi di lavoro, in qualche caso anche loro parenti, come spesso accade tra la gente che vive nelle aree di frontiera coinvolte dalle guerre.
Per riprendere il Monte Cellon il comandante dell’unità, il capitano calabrese Armando Ciofi, impostò una strategia d’attacco sbagliata che avrebbe portato l'intero reparto a morte certa. Invano i soldati, che ben conoscevano quelle montagne, cercarono di suggerire all’ufficiale diverse modalità d’azione, rifiutandosi di attuare gli ordini impartiti. Questo atto unitamente alla poca animosità antiaustriaca di alcuni soldati vennero considerati alla stregua di una di ribellione.
L'intero battaglione, 80 uomini, venne perciò consegnato ai Carabinieri e tradotto nel paese di Cercivento, retrovia del fronte dei combattimenti. La mattina del 29 giugno gli uomini vennero portati nella chiesa parrocchiale del paese, dedicata a San Martino, dove era stata organizzata l'aula del tribunale.
Il processo, condotto da un tribunale speciale militare presieduto dal generale romano Porta, iniziò alle 17 del 29 Giugno e si concluse alle 24 del 30 Giugno. La condanna a morte dei quattro soldati ritenuti i capi della ribellione venne emessa alle 3 del mattino.
I quattro alpini carnici furono fucilati all'alba del 1° Luglio 1916 nei pressi del cimitero di Cercivento, a poca distanza dalla chiesa stessa. I parenti dei condannati non furono avvertiti cosicchè neppure una lacrima fu versata, ne' fu profferta alcuna parola in loro aiuto.
Molti anni dopo, negli anni Novanta, Mario Flora, nipote di uno di questi alpini, lanciò una campagna di stampa per ottenere la revisione del processo e della relativa sentenza. Dopo una lunga battaglia legale riuscì a superare un assurdo cavillo: quello per cui l'ordinamento militare consente unicamente al condannato di poter presentare ricorso alla sentenza. In questo caso il ministro della Difesa, in qualità di supplente del morto, il 6 novembre 2009, presentò istanza di revisione in favore degli alpini fucilati presso la corte militare d'appello. Purtroppo, tutta la documentazione presentata per la revisione venne derubricata dai giudici ad un semplice insieme di pubblicazioni, di carattere storico o letterario, nelle quali veniva solo prospettata una diversa ricostruzione dei fatti. Anche le dichiarazioni raccolte nel 1971, provenienti da persone che potevano fornire informazioni apprese direttamente, vennero considerate generiche e prive di valore perché non verbalizzate dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria. Il procuratore generale Ferrante stabilì dunque che non erano state proposte nuove prove sopravvenute alla condanna che da sole, o insieme a quelle già valutate, potessero dimostrare che i condannati dovessero venire prosciolti. Pertanto, il 15/03/2010 la condanna venne riconfermata e l'istanza del ministro dichiarata inammissibile. A distanza di 94 anni i quattro alpini di Cercivento non sono stati prosciolti dalle accuse, ma oggi un cippo posto sul luogo della fucilazione ricorda comunque le loro giovani vite spezzate.
I loro nomi erano:
Ortis Gaetano Silvio (Paluzza - UD) - Matiz Basilio (Timau - UD) - Coradazzi G.Battista (Forni di Sopra - UD) - Massaro Angelo Primo (Maniago - UD)